17 giugno 2024 – 2025
Un anno fa, nella notte tra il 16 e il 17 giugno 2024, un veliero con circa 67 persone a bordo, naufragava nelle acque del Mar Ionio, a circa 120 miglia dalla Calabria. Partito da Bodrum, in Turchia, il viaggio è terminato in un ennesima strage di Stato, dopo giorni alla deriva veniva soccorso solo dopo l’allarme lanciato da una nave mercantile.
Troppo tardi. Sempre.
Solo 11 persone sono sopravvissute. Una donna è deceduta poco prima di raggiungere il porto. Circa 40 furono i corpi recuperati, ma molte restano ad oggi disperse.
Uomini, donne, bambini provenienti da Afghanistan, Iran, Iraq, Siria, Pakistan lasciate ancora una volta nell’oblio e nel silenzio, così come le loro famiglie ancora in attesa di ottenere verità e giustizia.
Una violenza aggravata ulteriormente dall’assenza di risposte, disinformazione e frammentazione delle procedure che in quei giorni arginavano e contenevano le operazioni di recupero, identificazione e rimpatrio, lontano dai giornali e opinione pubblica.
Le famiglie, giunti da ogni parte d’Europa, hanno dovuto affrontare in solitudine le operazioni che tacitamente venivano rese ambigue da una precisa volontà politica di agire nell’ombra e contenere l’emergenza che solo un anno prima ha reso Cutro uno scenario del crimine sotto lo sguardo del mondo.
Le salme, distribuite in obitori sparsi sul territorio calabro, le persone sopravvissute ricoverate in diversi ospedali della regione senza poter esser raggiunti autonomamente dalle familiari, l’identificazione dei corpi affidata allo scorrere dei giorni di lunghe e arbitrarie procedure improvvisate, gli oneri del rimpatrio disposto a carico delle famiglie.
Un strage che si è scelto di occultare, nascondere e silenziare. Una strage invisibilizzata, come tutte le stragi che si verificano nel Mediterraneo, prima che si verificasse, scegliendo di non soccorrere, e successivamente, provando a tacere.
Nessuna commemorazione e assunzione di responsabilità si è fatta voce. Al contrario del Palamilone di Cutro, dove la camera ardente è divenuta spazio di resistenza e cordoglio per le famiglie, a Roccella, alcun luogo condiviso di raccoglimento, di memoria, preghiera, riconoscimento è stato possibile.
La mancanza di trasparenza da parte delle autorità, l’assenza di informazioni chiare e l’esclusione della stampa hanno contribuito a rendere invisibile e silenziare la strage. I familiari delle vittime si sono trovati a fronteggiare una gestione frammentata e caotica delle procedure di riconoscimento e rimpatrio, con corpi e sopravvissuti distribuiti in diverse strutture, ostacolando i momenti di cordoglio incontro collettivi, solidarietà e mobilitazione della società civile.
Una chiara “strategia della dispersione” che continua a limitare la visibilità mediatica, l’attenzione pubblica e politica, verità e giustizia che le famiglie pretendono sia data.
Al contrario, la narrazione pubblica è ulteriormente spostata sui toni securitari e di criminalizzazione di chi parte, morendo, come inciso sulla stele a Cutro, che incolpa di presunto scafismo le stesse persone coinvolte nella strage.
Contro questa rimozione, fondamentale la lotta quotidiana dei familiari, la loro chiara denuncia alle politiche di frontiera che generano morte. Fondamentale è costruire una memoria pubblica che non dimentichi e non normalizzi nessuna strage di Stato.
La lotta delle famiglie resiste al silenzio. Oggi, come ieri, per ogni strage e morte di frontiera vige viva la memoria collettiva che contrasta l’oblio istituzionale.
Ad un anno da quel naufragio, dalla strage di Pylos, dalle innumerevoli crimini che i confini commettono, ricordiamo non solo i nomi e i volti delle persone scomparse o decedute, ma anche il diritto delle famiglie e comunità di appartenenza al lutto, alla verità, ad essere riconosciuti, sepolti con dignità e rispetto.
Ricordiamo Nalina, la bambina di dieci anni rimasta sola dopo aver visto la famiglia morire. Ricordiamo Akbari Sobhanullah, il cui corpo è tornato a casa grazie alla lotta e alla determinazione della famiglia accorsa a Roccella.
A distanza di un anno, ogni giorno di questa battaglia, accanto alle familiari
esigiamo essere ascoltati e riconosciuti. Non vogliamo minuti spesi in silenzio, di chi tace quando tutto infiamma, vogliamo minuti preziosi che impediscano la loro morte.
Pretendiamo atti concreti: tempestività delle operazioni di soccorso, trasparenza e tracciamento delle procedure identificazione e sepoltura dei corpi, accoglienza dignitosa per le persone sopravvissute, soprattutto la fine del sistema dei visti e delle politiche di morte che confinano il regime di frontiera europea.
Per ogni vita perduta in mare, per ogni corpo non restituito, per ogni famiglia lasciata senza risposte, continuiamo a rompere il silenzio con la Memoria collettiva e il senso di giustizia trasformatrice che muove e fa rumore, là dove si vorrebbe solo silenzio.