Ieri i corpi dei 6 giovani tunisini morti nel naufragio di Marinella di Selinunte (TP) e sepolti nel cimitero di Mazara del Vallo (TP) sono stati estumulati per essere finalmente riportati nella loro terra, dalle famiglie che da mesi chiedono a gran voce il loro ritorno. Si chiamavano Adem Mrouki, Koussay Boussif, Ridha Ben Ahmed Shgir, Fathi Saada, Mounir Mabrouki, Hamza Mabrouk.
Originari di Teboulba, Mahdia e Gafsa, erano partiti in barca dalla Tunisia il 26 ottobre 2023 verso le coste siciliane, in cerca di libertà. Coinvolti in un naufragio, 6 di loro persero la vita a poche decine di metri dalla spiaggia di Marinella di Selinunte, mentre 45 persone si salvarono.
Da quel momento abbiamo supportato le famiglie delle vittime che non hanno smesso neanche un momento di lottare per conoscere la verità su quella strage, per effettuare la comparazione del DNA utile all’identificazione dei corpi senza nome, nonostante le significative difficoltà di accesso alle procedure. Non hanno mai smesso di protestare contro la decisione imposta dall’alto di seppellire i corpi in terra di confine, a Mazara del Vallo, dove le salme sono state tumulate contro la chiara volontà dei parenti.
A distanza di mesi, finalmente si chiude un cerchio: tutti e 6 i corpi sono stati identificati ed è stato restituito un nome e una storia ad ognuno di loro. I pezzi di quelle vite, sparpagliati per giorni sulla spiaggia di Marinella di Selinunte sotto forma di vestiti, documenti e oggetti, sono stati ricomposti dentro nomi, vissuti, percorsi.
Divisi in almeno due gruppi, i 6 corpi giungeranno nei prossimi giorni via aereo all’aeroporto della capitale tunisina. Torneranno nelle loro case, dove si svolgeranno finalmente i funerali, celebrati con le famiglie e le comunità di appartenenza che reclamano questo diritto da mesi.
Ci uniamo al dolore delle famiglie, che in questi mesi abbiamo sostenuto nella ricerca della verità. Siamo vicine al grido di rabbia e sofferenza che le e i familiari hanno portato nelle piazze e presso le sedi delle autorità competenti, cercando solo giustizia.
Ci stringiamo alle famiglie, aspettando in queste ore che i corpi lascino questa parte di Mediterraneo per raggiungere l’altra sponda, in un viaggio inverso a quello di andata, un viaggio perverso, che nulla ha a che fare con la voglia di vivere e di libertà che ha spinto Adem, Koussay, Fathi, Ridha, Mounir e Hamza a partire.
Ci stringiamo alle famiglie, in attesa di vedere arrivare quelle bare, e con loro tiriamo un sospiro di sollievo. Un sospiro di sollievo che rappresenta un paradosso solo per chi non sa cosa vuol dire attendere per mesi di poter identificare il corpo di un proprio caro, morto violentemente e sepolto lontano. Un paradosso solo per chi non conosce l’esasperazione del non sapere e la violenza rappresentata dal fatto di non poter piangere sul corpo di una persona amata.
Ci stringiamo alle madri e sorelle che non si sono arrese, alla memoria di quelle vite che non sono più, non a causa di un evento imprevedibile ma per leggi e politiche di morte che continueremo a denunciare. Alla memoria di quelle vite che non sono più, ma hanno continuato ad esistere nelle voci e nei corpi dei familiari che non le hanno lasciate cadere.
Insieme a loro, avremo cura di custodire le vostre storie e di non dimenticarvi mai.
Mem.Med Memoria Mediterranea