Donna Vita Libertà. È il grido urlato dalle persone in presidio che hanno accolto Maysoon Majidi arrivata al tribunale di Crotone il 24 luglio mattina, dentro il blindato della polizia penitenziaria.
Dalle nove fino alla tarda mattinata si è celebrata la prima udienza che ha aperto il processo per la 27enne attivista, reporter e videomaker curda, arrestata dal dicembre scorso con l’accusa di scafismo dopo essere sbarcata insieme ad altre 77 persone migranti sulle coste calabresi del crotonese.
L’istanza per la modifica della misura cautelare e la richiesta dei domiciliari presentata per Maysoon dall’avvocato che la rappresenta è stata rigettata dal giudice: Maysoon resta in cella almeno fino alla prossima udienza del 18 settembre.
Non appena ha appreso la notizia, dopo ore di discussioni che hanno coinvolto la Pm, l’avvocato e il giudice, Maysoon si è alzata in piedi e, con lo sguardo incredulo, rivolta direttamente al giudice, ha iniziato a spiegare con la propria voce le ragioni della sua innocenza, mostrando le prove fotografiche che la scagionererebbero. Chiedendosi perché non viene creduta, ancora privata della libertà, Maysoon ha contestato autonomamente ogni accusa infamante che le è stata rivolta.
Prima udienza processo a Maysoon Majidi, Tribunale di Crotone. Credit: Silvia Di Meo
Una liberazione che a gran voce abbiamo sostenuto anche da fuori, animando il presidio indetto per sostenere Maysoon – e la lotta che porta avanti fin dalla terra natia dove è stata perseguitata per il suo impegno – per sostenere Marjan Jamali, che in Calabria è stata colpita dallo stesso tipo di criminalizzazione e tutte le altre persone accusate e detenute con l’accusa di essere “scafiste”, ma non solo. La nostra solidarietà é rivolta infatti verso tutte le persone ingiustamente in carcere, non solo con l’accusa di scafismo. Siamo infatti anche unit3 nella lotta per la liberazione di Heval Talip, persona di origini curde che vive da anni nel sud Italia e si trova attualmente nel carcere di Catania.
Una mobilitazione che si lega alla richiesta di giustizia per tutte le vittime del regime di frontiera e per le loro famiglie, per quelle persone che – prima di arrivare ad essere accusate del reato di scafismo o di essere imprigionate dentro i lager dei Cpr o in altri luoghi privativi – muoiono in mare, lungo le rotte Mediterranee e vengono avvolte dall’oblio e dall’indifferenza.
Presidio per la liberazione di Maysoon Majidi, Tribunale di Crotone. Credit: Silvia Di Meo
Proprio in questi giorni, le indagini della magistratura hanno appurato i ritardi e le omissioni nei soccorsi che hanno determinato la strage di Cutro del 26 febbraio 2023 dove sono morte almeno 94 persone e ne risultano disperse ancora una decina. Che su questa strage ci siano delle responsabilità delle autorità e che il massacro si poteva evitare ora è confermato dall’inchiesta da cui emerge l’accusa di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. Da questa certezza, le domande di verità e giustizia presentate fin dal primo giorno dalle famiglie e dalle persone sopravvissute alla strage si fanno oggi ancora più forti.
Sulla strage di Cutro, l’unico processo finora celebrato è stato proprio quello contro i cosiddetti scafisti, coloro che in quella notte avrebbero guidato la barca Summer Love dalla città turca di Smirne fino alle coste italiane di Cutro. Una logica criminalizzante e punitiva condensata dentro quel famoso Decreto a cui è stato vergognosamente associato il nome del luogo di una strage (Legge 50/2023) che non ha fatto altro che inasprire la repressione contro le persone in movimento, negando loro libertà e diritti.
Nonostante sia inevitabilmente provata, dopo 208 giorni di carcere e di giustizia negata, dopo uno sciopero della fame, Maysoon ha dimostrato ancora una volta che la richiesta della sua libertà non è né manipolabile né contrattabile.
Presidio all’esterno del Tribunale di Crotone. Credit: Silvia Di Meo
Continueremo a sostenere che Cutro non è un Decreto, Cutro è una strage. Continueremo a sostenere che Maysoon non è una scafista, ma una donna libera, un’attivista che lotta e ha lottato per i diritti delle donne e delle persone oppresse.
Oltre le mura di celle e confini – dallo Steccato della morte del 26 febbraio 2023 fino alla gabbia dove Maysoon è ancora ingiustamente ristretta – il grido di libertà e giustizia per tutt3 rimane alto e forte.
In attesa di rivederci presso il Palazzo di giustizia di Crotone il 18 settembre – in occasione della prossima udienza del processo contro Maysoon Majidi – lanciamo un invito diffuso alla denuncia sociale e alla lotta per la liberazione di Maysoon, Marjam, Talip e tutte le altre persone ingiustamente detenute.
Maysoon libera
Marjan Libera
Talip libero
Comitato Free Maysoon
Rete 26 febbraio