I 37 di El Hancha: le proteste delle famiglie e la ricerca di giustizia

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Il progetto Missing Migrants dell’OIM ha contato almeno 128 persone disperse o decedute nel Mediterraneo dall’inizio dell’anno 2024. 90 di loro sono scomparse sulla rotta del Mediterraneo centrale tra le coste del Nord Africa e l’Italia.
Tra questi numeri ci sono volti e storie ben precise. Come quelli di Yossri, Adam, Assil, Ali, Hamza, Haithem, Hathem, Mohamed Lafi, Mohamed Ali, Mohamed Jalloul, Marwen, Malek, Mokthar, Montassar, Rejab, Rami, Saif, Ahmed, Nader, Aziza e i suoi due bambini, originari di El Hancha scomparsi l’11 gennaio scorso.

El Hancha come Zarzis
37 cittadini tunisini, minori, uomini e donne – quasi tutti originari di El Hancha (Sfax), di età compresa tra i 13 e i 35 anni – sono partiti l’11 gennaio 2024 dalle coste di Sfax verso la Sicilia. I familiari sono rimasti in contatto con loro fino alle 14:30 dell’11 gennaio, mentre l’imbarcazione stava prendendo il largo. Intorno alle 22 della stessa sera, tutti i contatti con le persone a bordo erano stati persi. I parenti hanno allora allertato immediatamente la Guardia nazionale tunisina affinché iniziasse le ricerche dei naufraghi.

Nel frattempo, alcune delle famiglie dei 37 si sono rivolte allora ad organizzazioni non governative, come AlarmPhone perché si attivassero tempestivamente i soccorsi, e Mem.Med Memoria Mediterranea perché si verificasse l’arrivo sul territorio italiano. La richiesta di informazioni è stata presentata presso le autorità competenti italiane che, tuttavia, non hanno potuto confermare l’arrivo delle persone sul territorio nazionale.

Alcune persone del gruppo dei 37 dispersi di El Hancha (Sfax)

Mentre la Procura di Sfax apriva un’indagine sul caso, le famiglie hanno continuato a portare avanti la ricerca in Tunisia, tra false piste e rumors. Come spesso capita in questi casi, in assenza di informazioni ufficiali, una moltitudine di teorie ha preso piede tra la popolazione affamata di informazioni e alla disperata ricerca di notizie. Sono circolate delle voci secondo cui l’imbarcazione poteva essere naufragata al largo delle isole di Kerkennah, vicino a Sfax, ma non sono state trovate prove. Un’altra teoria è quella per cui l’imbarcazione possa essere stata dirottata verso la Grecia. Per alcune famiglie di El Hancha l’arrivo in Libia del convoglio rimane una possibilità ancora plausibile. Tuttavia, anche questa pista non ha portato a nessun risultato.

I giorni sono passati e così le settimane. Infine, adirate contro la mancanza di risposte e l’interruzione delle ricerche, le famiglie hanno dato vita ad una protesta: hanno eretto dei blocchi stradali e bruciato pneumatici intorno al villaggio, ritirandosi solo quando le autorità governative hanno assicurato che le ricerche sarebbero continuate. La Guardia Nazionale tunisina avrebbe quindi assicurato che “tutte le unità di campo”, comprese le navi e gli elicotteri, erano state mobilitate per localizzare la barca nell’are costiera di Sfax e di Mahdia, anche con il coinvolgimento di risorse maltesi e italiane nelle ricerche.

In quei giorni concitati, la reazione della popolazione di El Hancha ha ricordato molto quella della popolazione di Zarzis per il caso dei 18/18 del 2022, come ha dichiarato anche Majdi Karbai, che si è espresso pubblicamente per denunciare l’accaduto: a Zarzis come a Sfax, la protesta delle famiglie dei 18 dispersi ha risvegliato l’inquietudine in tutto il Paese e ha visto guizzare le scintille di una rabbia che dura da anni. Secondo l’ex parlamentare tunisino, il silenzio delle autorità sul caso di El Hancha, dipenderebbe dal timore che possano ripartire le contestazioni che hanno infiammato la Tunisia dopo la scomparsa dei 18 di Zarzis.

Infatti, nel 2022, il caso dei 18 di Zarzis mise in discussione in Tunisia la credibilità delle procedure messe in atto per la ricerca delle persone disperse nel Mediterraneo, che dal 2011 sono aumentate costantemente. L’accusa di negligenza e abbandono non riguarda solo i casi più noti ma anche i cosiddetti “naufragi minori” o “invisibili” e fa riferimento al sistematico approccio al tema degli scomparsi. Un tema, quello della scomparsa nel tentativo di fare harga, che è anche strettamente connesso alle condizioni socio-economiche del contesto tunisino, nonché alla situazione politica che negli ultimi anni ha reso ancora più difficile la vita dei suoi cittadini, costretti a partire, anche a causa di una direzione del governo sempre più autoritaria e liberticida.

Un governo, quello tunisino, con cui l’Italia e l’Europa continuano a stringere accordi in materia di sorveglianza delle frontiere e blocchi delle partenze tramite operazioni di intercettazione che, sempre più spesso, determinano sparizioni e morti. Solo nel 2023, sarebbero circa 79905 le persone migranti – tunisine e subsahariane – ad essere state intercettate dalla Guardia Costiera e riportate in Tunisia, da dove fuggivano.

6 febbraio 2024: conferenza stampa e CommemorAzione delle vittime della frontiera

In occasione della giornata di memoria per la strage del Tarajal a Ceuta (2014), diverse associazioni, comitati familiari, attivist si sono riunite in varie parti dell’Europa e dell’Africa per ricordare le vittime di frontiera e denunciare le loro sparizioni, in iniziative note come CommemorAzioni.

Mentre in tutta Europa si svolgevano importanti momenti di solidarietà, a Tunisi, i familiari dei missing migrants hanno organizzato una conferenza stampa presso la sede del Sindacato dei giornalisti tunisino.

Un atto coraggioso e importante, considerato come oggi più che mai le famiglie delle persone disperse e decedute devono vivere oltre alla violenza della perdita irriconosciuta, anche tentativi di criminalizzazione e intimidazione da parte delle forze di polizia che tentano di arrestare movimenti di protesta e di rivendicazione popolari.

Madri, sorelle, padri, fratelli, militanti e giornalisti si sono riuniti per denunciare la scomparsa e la morte di decine di persone migranti partite dalla Tunisia nel 2011, 2012, 2019, 2022 fino ad oggi, nonché la mancanza di risposte da parte delle autorità nazionali ed internazionali. Tra loro c’erano anche le famiglie di El Hancha.

Foto di Severine Sajous

Nelle mani tenevano i lenzuoli con i nomi delle vittime di frontiera, cartelli con i volti delle persone scomparse e uno striscione dove si dichiara di continuare a lottare contro le frontiere che uccidono.

Tra i familiari c’erano anche diverse attiviste tunisine: Fatma Kesraoui, madre di Ramzi, scomparso nel 2011. Awatef Daoudi, madre di Hamdi, scomparso nel 2019. Hajer Ayachi, madre di Bechir e Mohamed, scomparsi nel 2011. Jalila Taamallah, madre di Hedi e Mahdi morti nel 2019 nel Mediterraneo.

Al presidio e alla conferenza stampa c’erano anche le famiglie delle persone decedute nel naufragio di Marinella di Selinunte (TP), avvenuto il 26 ottobre 2023. Oumaima Mrouki e sua madre hanno portato la foto di Adem, giovane vittima che è stata identificata da poche settimane tra i 6 corpi rinvenuti sulle coste siciliane. Oumaima sta portando avanti da settimane una battaglia per l’ennesimo sopruso perpetrato ai danni dei deceduti e delle loro famiglie: infatti, i corpi di Adem e dei suoi compagni sono stati seppelliti a Mazara del Vallo, contro il volere delle famiglie, impedendo la cerimonia funebre nel luogo natio e la degna sepoltura secondo la volontà familiare e amicale.

Foto di Severine Sajous

Nel silenzio generale, la normalizzazione della morte si radica sempre più profondamente e la violenza strutturale prolifera capillarmente, che sia nel Mediterraneo o in un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) dove molte delle persone che questo mare lo hanno attraversato vengono trattenute in condizioni così degradanti da spingere al suicidio, come è accaduto a Ousmane Sylla, impiccatosi nel CPR di Ponte Galeria pochi giorni fa.

In quelle stesse ore di violenza così atroce, abbiamo raccolto segnalazioni di altre scomparse in mare: Il 5 febbraio un gruppo di 18 persone della regione di Biserta sarebbe partito verso la Sardegna senza mai raggiungerla; nelle stesse ore un gruppo di algerini partiti da Hannaba sarebbe scomparso in mare senza lasciare traccia. Infine, vicino a Sfax, una barca con 42 persone partita da Jebiniana l’8 febbraio è naufragata: almeno 13 sudanesi sono morti e 27 persone risultano disperse.
Nelle tasche dei loro vestiti sono state ritrovate le tessere dell’agenzia UNHCR che li classificava come richiedenti asilo in Tunisia. Tracce di storie che rivelano moltissimo: la protezione che doveva essere loro garantita in Tunisia non è mai stata veramente offerta, come ormai da anni stanno denunciando le persone migranti che si trovano confinate sul territorio tunisino, vivendo gravi varie forme di razzismo, sopraffazioni e abusi.

Questo fatto rimanda immediatamente ad un dettaglio analogo che riguarda la strage di Cutro dove, all’indomani del naufragio, sulla spiaggia, sotto la sabbia bagnata, sono stati trovati non solo i corpi dei naufraghi ma anche i fogli di respingimento a loro appartenuti, che imponevano alle persone provenienti dall’Afghanistan di lasciare la Turchia entro 15 giorni, obbligando alla fuga centinaia di persone. Un Paese, quello della Turchia – come anche quello tunisino – che l’Europa continua a finanziare per respingere le persone in movimento, attraverso politiche di esternalizzazione dei confini sempre più securitarie e violente.

Allora, proprio a ridosso dell’anniversario della sanguinosa strage di Cutro, è fondamentale continuare a denunciare quelle politiche che, a monte, provocano lo sterminio in corso, a Sfax come a Cutro, a Pylos come a Selinunte. Lasciar cadere nel vuoto queste stragi di Stato significa continuare a legittimare un sistema che – dal mare fino al Cpr – esercita coscientemente e impunemente la violenza su chi cerca la libertà.


Mem.Med Memoria Mediterranea

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