Memoria Mediterranea

Abdulrahman Alhelo (2024)

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Abdulrahman Alhelo, giovanissimo ragazzo di origine siriana ha appena 22 anni quando si imbarca dalla Libia ad inizio agosto 2024 nel tentativo di raggiungere l’Italia insieme ad altri 34 compagni di viaggio. Erano partiti da Zatlin con un’imbarcazione di fortuna e dopo ore di navigazione, come riporteranno successivamente  le testimonianze di alcune persone sopravvissute, avevano lanciato l’allarme a pochissime miglia dalle costa siciliana per le estreme condizioni meteo marine e la scarsa visibilità notturna. Tuttavia, i soccorsi sono tardati ad arrivare e l’imbarcazione è stata raggiunta solo nella notte dalla Guardia Costiera italiana.

Dietro la strage di Siracusa: I soccorsi e il naufragio

Dalle prime ricostruzioni – rese note da un comunicato della stessa GS intervenuta – la notte del 3 agosto 2024, raggiunti ad alta velocità da una motovedetta Cp 323 a circa 17 miglia a largo di Siracusa, il natante è naufragato a causa della collisione tra gli scafi provocando il rovesciamento delle persone migranti in mare. A seguito del naufragio, nonostante i passeggeri avessero prontamente accesso tutte le torce in loro possesso per segnalare la loro presenza, moltissime persone si sono ritrovate in acqua a causa del violento impatto, poi tutte recuperate dalla stessa guardia costiera, tutte tranne una, Abdulrahman, ad oggi disperso. Quella notte di Abdulrahman si sono perse le tracce, mentre altre due persone sono decedute successivamente, Shaouqi durante il trasbordo al porto di siracusa e Abu Hamza dopo il ricovero presso l’Ospedale Umberto I, per le lesioni  e fratture riportate. Altre dieci persone sono state ricoverate tra l’ospedale del capoluogo e i presidi di Avola e Lentini a causa delle gravi condizioni mediche dovute alla collisione in mare. Le ricerche per la persona dispersa, coordinate dalla GC di Catania si sono attivate nelle ore successive al soccorso ma Abdullah Raman risulta ancora disperso.

Le dinamiche dell’incidente rimangono da chiarire sebbene venga difficile pensare che l’imbarcazione non fosse stata rilevata con precisione, considerata anche la presenza del velivolo “Manta” di monitoraggio attivato durante il soccorso. 

La procura di Siracusa a tal proposito ha acquisito la documentazione che registra l’intervento in mare ed ha aperto un fascicolo per l’accertamento dei fatti. Ad oggi è ancora in corso l’indagine della squadra mobile del capoluogo sulle dinamiche della collisione e della scientifica per stabilire le ragioni del decesso delle persone recuperate in vita ma il fermo è stato disposto ancora una volta per due persone migranti individuate come responsabili su cui grava l’accusa di presunto scafismo per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e su cui si ipotizzano reati di naufragio colposo, omicidio colposo e morte come conseguenza di un altro delitto.

Dov’è Abdulrahman? La denuncia della sorella Duaa

La sorella di Addularam, Dua Al-Hlou, residente in Germania, aveva sentito suo fratello pochi istanti prima di partire e lo attendeva da questo lato del Mediterraneo che da almeno 5 anni li teneva separati. 

Alla notizia del naufragio si è immediatamente attivata per cercarlo, segnalando la sua scomparsa alle autorità competenti e ad alcune organizzazione operative sul campo. Mem.Med ha accolto la sua segnalazione attraverso Nadia, una volontaria dell’associazione Naga di Milano che ha facilitato la comunicazione tra Duaa e l’equipe. Dopo un’iniziale ricostruzione dei fatti, abbiamo incontrato Duaa alla presenza dell’avvocata per procedere alla nomina e alla raccolta di qualunque informazione fosse in suo possesso. Duaa, infatti, ha restituito la testimonianza che alcune persone sopravvissute al naufragio e familiari delle persone decedute le hanno condiviso direttamente. La denuncia è stata depositata alla Procura e siamo in attesa di un riscontro dalle autorità.

Duaa continua la propria battaglia affinché restino attive le ricerche di suo fratello e risalire alla verità. Non riesce a spiegare come sia potuto accadere a poche miglia dalla costa, la barca stava per raggiungerla e tutti cominciavano a intravedere le prime luci dell’alba delle imbarcazioni sulla riva:

“Il loro sentimento in un tratto è mutato dalla paura del buio pesto e del mare alla gioia incolmabile dell’arrivo. Tutti hanno esclamato: “Siamo arrivati in Italia!” Nonostante tutto, nonostante l’oscurità della notte, il mare, la paura e l’ansia, siamo arrivati”. 

Quella gioia improvvisamente si è oscurata al sopraggiungere una nave di soccorso,  arrivata a grande velocità colpendo il natante in balia del mare. I giovani sono finiti in acqua, ci sono stati feriti e morti e Abdul Rahman è tra i dispersi:

“Non riesco a credere che non si abbia traccia di mio fratello, né tra i vivi né tra i morti. È un sentimento indescrivibile, il mio cuore è straziato dal dolore, lo aspettavo con ansia. Non capisco tanto disprezzo per quelle vite umane; come può un pilota di soccorso andare così veloce senza vedere le piccole imbarcazioni davanti a lui? Non ci sono radar sulla nave o telecamere, non lo credo. 

Attraverso la testimonianza di chi lo ha vissuto, Duaa riporta elementi fondamentali di quella notte: 

Tutti i compagni di Abdulraham, ci hanno detto che la velocità era esagerata, tanto che nessuno è riuscito a saltare in acqua prima dell’impatto, tranne un giovane di nome Ahmad Ali, che ha lanciato l’allarme affinchè saltassero in acqua. Alcune persone sopravvissute mi hanno detto che la sua voce è ciò che hanno sentito prima dell’impatto dello scafo. C’era un aereo che vigilava dall’alto ma nessuno della guardia costiera si è calato per recuperare i feriti dall’acqua, si sono limitati a gettare loro dei giubbotti di salvataggio.Li ha aiutati Ahmad Ali una volta salito sulla nave di salvataggio, sapeva nuotare molto bene”

Una volta a bordo, le persone sopravvissute hanno segnalato che ancora un giovane era rimasto in acqua, che Abdul Rahman, era disperso. Lo hanno cercato ma non è più emerso. 

Sono trascorsi tre mesi da quella strage e Duaa e la sua famiglia ancora attendono di ricevere notizie:

“Sogno sempre che mio fratello sia vivo e che io possa incontrarlo e abbracciarlo. Non so se il mio sogno si avvererà, ma se mio fratello è morto in questa strage, spero che possiamo trovare il suo corpo per liberarci dall’ansia e dai brutti pensieri”. 

Abdularham sapeva che il viaggio sarebbe stato pericoloso, ma rischiare era l’unica forma di liberarsi dalle oppressioni subite per anni. Duaa ricorda le preoccupazioni precedenti alla partenza ma Abdulhrama voleva andare via, “pur se fosse morto”. Era stanco di tante oppressioni, non veniva stipendiato quando lavorava, privato dei suoi diritti sin da bambino:

“Mio fratello Abdul Rahman ha trascorso la sua infanzia in Siria. Quando è scoppiata la guerra, aveva 10 anni e noi eravamo residenti nella Ghouta orientale, che ha subito molti bombardamenti e assedi per oltre cinque anni. Questo ha fatto sì che più della metà dei suoi capelli diventasse bianca. Mio fratello non ha ricevuto un’istruzione adeguata a causa della guerra; sa leggere e scrivere, ma non bene. Quando ha compiuto 18 anni, è entrato nell’età militare. Mia madre ha portato un referto medico alle autorità competenti in Siria, certificando che mio fratello fosse affetto da sordità e non poteva prestare servizio militare né usare un’arma, ma è stato rifiutato e lo hanno costretto ad arruolarsi entro tre mesi. Per questa ragione mio padre ha deciso di far viaggiare mio fratello verso l’Egitto dove ha vissuto per quattro anni, tra numerose sofferenze. Era difficile trovare lavoro e quando trovava un impiego lavorava per 12 ore consecutive. Quando si ammalava, veniva sempre licenziato. Era difficile restare in Egitto senza u permesso di soggiorno e Abdulrahman decise di riprendere il suo viaggio verso la Libia. Abdulrahman lavorava nella perforazione di pozzi ma situazione in Libia era addirittura peggiore che in Egitto e decise di tentare il viaggio in Europa via mare dove sperava di trovare migliori opportunità di lavoro e condizioni di vita degne”. 

Duaa sente che un giorno si ritroveranno:

“Sicuramente ci incontreremo un giorno. E se fosse un corpo sul fondo del mare, spero che il suo corpo venga portato sulle spiagge, perché Dio è capace di ogni cosa”. 

Come Duaa, non smetteremo di cercare “quell’umanità nei suoi più alti significati” continuando a sostenerla in questa lotta. 

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